Quando ho iniziato a specializzarmi nell’ambito della posturologia, ho subito capito di voler impostare il mio lavoro in modo che la persona fosse parte attiva e protagonista nei programmi posturali: è ormai ampiamente dimostrato, infatti, che questo è il modo migliore per ottenere risultati e consolidarli nel lungo termine. Quello che ancora non sapevo, è che questo tipo di lavoro porta delle sfide sia per il professionista che per il cliente.
Imparare a gestire i tempi
Spesso le persone ricercano una soluzione veloce a problemi che si sono consolidati in anni di cattive abitudini posturali. La verità è però che per cambiare un’abitudine scorretta, occorre sostituirla con un’abitudine buona: questo richiede una ripetizione costante degli esercizi per ottenere un cambiamento nel corpo, e poi una pratica a lungo termine per rendere quei cambiamenti permanenti.
E’ anche importante sapere che la strada verso il miglioramento non è lineare. Anche a fronte di un lavoro costante, la risposta fisica segue un andamento più ondulato: è naturale avere dei momenti di grande miglioramento intervallati da momenti di stallo o a volte addirittura di peggioramento.
Nelle condizioni di dolore cronico questo discorso è ancora più vero, proprio perchè il dolore altera i circuiti nervosi e la percezione delle sensazioni a livello centrale (nel cervello): è ormai noto che per ottenere una modifica nelle sinapsi neuronali è necessario un esercizio costante e progressivo.
Per tutti questi motivi diventa fondamentale mantenere la motivazione nel percorso, per non perdere la costanza: l’impazienza o l’aspettativa di un risultato rapido possono significare il fallimento del lavoro.
Avere fiducia nel percorso
Alcune persone investono anni o decenni nel tentativo di trovare una soluzione ai propri problemi posturali, ma inconsapevolmente commettono un errore fatale: non riescono ad affidarsi veramente al professionista, o al percorso scelto.
Sono quelle persone che cambiano spesso terapia o terapista, modificano i programmi in autonomia, non rispettano la progressione o le tempistiche raccomandate. E’ vero che non tutti i terapisti o le tecniche sono adeguate ad ogni persona, e tutti noi abbiamo il diritto di provare le varie opzioni prima di trovare quella che fa al caso nostro.
E’ anche necessario però, una volta scelto un professionista, affidarsi alla sua guida ma soprattutto collaborare con lui: ogni corpo reagisce diversamente ad una data tecnica, e spesso il terapista propone un primo programma di prova per poi perfezionarlo strada facendo. Modificare esercizi in autonomia, o cercare subito un nuovo approccio è spesso indice di una scarsa fiducia nella capacità di migliorare la propria condizione, diventando quasi una “profezia che si autoavvera”.
Diventare protagonisti del cambiamento
Esiste anche la situazione inversa: quelle persone che affidano completamente la riuscita del percorso al terapista, rinunciando ad ogni potere d’azione sulla propria condizione. Queste persone pensano di potersi sdraiare sul lettino e aspettare che il professionista compia il miracolo. Purtroppo questa è una strategia (ovviamente inconsapevole) per non accettare la responsabilità della propria salute: ormai però abbiamo capito che senza una partecipazione attiva della persona, i risultati saranno quantomeno scarsi.
In casi particolari questo atteggiamento nasconde in realtà la paura del cambiamento: migliorare o guarire dalla propria condizione significherebbe cambiare la propria vita e le proprie abitudini, e a volte questo fa paura, o non è desiderabile (per vari motivi). Queste persone spesso finiscono per identificarsi con il proprio dolore o disagio: vengono si in seduta, ma con un atteggiamento di passività o di ineluttabilità della propria condizione.
In casi ancora più rari, ho visto persone interrompere il percorso proprio quando stava iniziando a dare risultati.
Il ruolo della mente nel processo di cambiamento
Credo sia chiaro, a questo punto, che seguire un percorso posturale, in cui si richiede di affrontare il dolore e lavorare su abitudini, contiene un aspetto psicologico determinante.
Ci tengo sempre a ricordare che noi operiamo una distinzione tra corpo e mente (psiche) per una semplicità di studio e rappresentazione: ma la realtà è che l’organismo umano e un tutt’uno indissolubile, e che ciò che smuove, modifica, blocca una parte, avrà ripercussioni anche sull’altra.
Per molti versi vedo il mio lavoro come speculare a quello di uno psicologo: entrambi lavoriamo su dei blocchi e sulle abitudini che hanno portato a quei blocchi. In entrambi i casi il professionista non ha potere assoluto sulla riuscita del percorso, ma è un facilitatore, mentre la parola finale spetta alla persona e alla sua volontà di applicarsi.
Alcuni dei miei percorsi più riusciti, infatti, sono stati con persone che seguivano o avevano già seguito un percorso di psicoterapia. Alcune hanno deciso di iniziarlo in seguito a un primo approccio ai propri blocchi fisici.
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